Bibliografia
Una passione che non si spegne – 2022
Sandro Parmiggiani
Per Maria Valli, e per le sue scelte di vita, non si potrebbe certo ricorrere alla suggestione del titolo di un romanzo della scrittrice inglese Vita Sackville-West, Ogni passione spenta. Maria bambina disegna continuamente e a tredici anni caparbiamente sceglie di frequentare il Liceo Artistico a Bologna, esperienza interrotta solo dopo un anno per la manifesta ostilità della famiglia. La rinuncia alla pittura, e all’immersione nell’arte, è per lei una sorta di trauma, mai superato nel successivo esercizio dell’attività di fisioterapista, svolta fino al 2000.
“Ho sepolto il mio cuore fino al 1996”, dice ora Maria: in quell’anno il buio in cui la sua passione era stata a lungo confinata viene squarciato dalla luce di un’attività artistica riscoperta e riconquistata, sentita come ineludibile necessità di vita. La Valli inizia a frequentare corsi di pittura, cerca di avere qualche lume sul cammino da intraprendere attraverso colloqui con artisti (tra i quali, Davide Benati, che le suggerisce una ricerca sul segno), legge avidamente Kandinskij (Lo spirituale nell’arte e Punto, linea, superficie), è affascinata dalle opere di Luigi Veronesi e di Maria Lai e, nel campo della grafica, di Guido Strazza; si sente coinvolta dagli esiti del lavoro di Alberto Burri, scoperto nella mostra ai Chiostri di San Domenico a Reggio Emilia nel 2001. Intanto, Maria ha scelto di bruciarsi i ponti e le navi alle spalle: abbandona il lavoro, ben retribuito, di fisioterapista all’Ospedale di Correggio e si consegna totalmente all’attività artistica, scegliendo di mantenersi, nella Maremma in cui ha deciso nel frattempo di trasferirsi, con umili lavori (baby-sitter, contadina, aiuto cuoco).
Inizia a presentare le sue opere in alcune mostre, soprattutto di gruppo, ma la malasorte è in agguato: un grave incidente d’auto le causa lesioni e difficoltà che tuttora è costretta a curare. Ritornata nella città natale nel 2005, continua intensamente a dipingere, e sente pure il desiderio di cimentarsi nelle tecniche incisorie e litografiche; s’inoltra anche, per qualche tempo, nell’esplorazione dell’opera scultorea.
La mostra personale al Palazzo dei Principi di Correggio segna, per Maria Valli, un approdo significativo e la verifica, nel rapporto con il giudizio dei visitatori, del senso e del valore di una scelta tanto ardua che lei seppe compiere nel 2000, dopo ventisette anni di attività come fisioterapista. In Maria la passione per la pittura mai si era spenta nel corso della sua vita. Quando giunse l’ora di una nuova primavera, quella tensione insopprimibile si andò incarnando negli elementi fondanti del segno, della linea, della forma e del colore, nell’appropriazione e nell’adozione di antiche tecniche pittoriche – quali l’acquerello, il pastello e la tempera all’uovo –, nell’indagine sui supporti peculiari che potessero accogliere i suoi disegni a china, a matita e ai pastelli, e le esperienze con l’opera grafica, come la carta di puro cotone o quella denominata Hahnemühle, utilizzata sia dagli artisti e dagli stampatori di lavori di grafica sia da alcuni dei migliori fotografi per stampare, soprattutto a getto d’inchiostro, le loro immagini. Quella lontana tensione, che sembrava essersi per sempre dissolta e svanita, incagliatasi e arsa nelle scelte dolorose che spesso la vita impone, è, come in un fiume carsico, tornata alla superficie, imponendole decisioni radicali che testimoniano come, nelle umane esistenze, tutto mai possa essere ritenuto prevedibile e meramente conseguente agli svolgimenti di un periodo o di una fase precedente, soprattutto quando la passione chiama, rompe gli argini e come un’impetuosa corrente ci chiede di abbandonarci al suo scorrere.
La mostra al Palazzo dei Principi di Correggio si dipana attraverso le tre sale riservate alle mostre temporanee di maggiore importanza: il grande salone rettangolare, l’intima stanza che s’apre in fondo, il corridoio che corre parallelo al salone e che s’affaccia sul cortile interno. Ciascuno di questi tre spazi è stato organizzato, nell’allestimento, per ospitare un capitolo degli esiti della ricerca di Maria Valli, come sono venuti evolvendosi negli ultimi vent’anni. Prima di giungere a un, pur sommario, ritratto conclusivo del suo fare artistico, credo sia utile cercare di inoltrarci nella mostra, in un ideale vis-à-vis con le opere, appuntando il percorso che il visitatore compie con alcuni “segnavia” in forma di parole, in una sorta di guida alla visione dell’esposizione e all’immersione negli incontri dell’occhio, giudice supremo di ogni lavoro artistico, sia esso antico, moderno o contemporaneo.
L’incipit della mostra è all’insegna di due dipinti, Senza titolo del 2002 e Erosioni profonde del 2004, nei quali il colore arde nella lontananza e nel profondo, dentro bagliori di luci che s’accendono, segni erranti e ombre che tutto avvolgono – il nero ancora non è calato a pervadere l’opera di Maria, anche se già sembra prepararsi a entrare in scena – e quattro splendide opere del ciclo che l’artista ha chiamato Palinsesti, realizzate nel 2015. A molti quest’ultimo termine risulterà familiare per l’utilizzo che ne viene fatto per enunciare i prospetti e le caratteristiche dei programmi radiofonici e televisivi, ma l’adozione della parola in Maria Valli si lega alla tradizione greca e latina, nella quale “palinsesto” significava letteralmente “raschiato di nuovo”, intendendo la pratica antica di sottoporre un manoscritto, su papiro o su pergamena, al lavaggio e alla raschiatura, alla cancellazione, per fare posto a un nuovo testo, che spesso andava a collocarsi nello spazio, nell’interlinea, tra due righe. Maria ha, nel titolo del suo ciclo, inteso rappresentare l’azione concreta da lei intrapresa per lavare, in parte cancellare e aggiungere stesure pittoriche – del resto, “palinsesto” viene talvolta utilizzato proprio per definire dipinti su una superficie in cui sono stati sovrapposti strati successivi di pittura. L’esito della sua azione è particolarmente affascinante: le forme, le tessere di colore s’addensano e si ricompongono, come se fossero mosse da un’attrazione magnetica, e le tremule linee di luce che vi ardono paiono fili vaganti, anch’essi partecipi di un movimento, che non ottunde un’atmosfera di dissoluzione di ciò che era esistito e che tuttora a noi si presenta come puro simulacro arso di esistenze che più non sono – l’esito è particolarmente affascinante anche grazie all’adozione della tempera all’uovo, su carta di puro cotone.
Nel grande salone, ecco poi farsi avanti le tecniche miste che nel titolo fanno riferimento ideale alla fonte di ispirazione, che già abbiamo avuto modo di ricordare: Punto Linea Superficie, nelle quali si fondono la suggestione di universi astrali e di forme ritmiche e dinamiche che emergono e che paiono tese a compenetrarsi, e che potrebbero evocare qualche atmosfera di Sonia e Robert Delaunay, di Paul Klee, di Vasilij Kandinskij e della grande stagione dell’arte astratta russa. C’è poi il folto gruppo delle tecniche miste che recano il titolo di Immagine sospesa 2 – che Maria afferma essere legate al fascino di certe ricerche di Luigi Veronesi –e le grandi tavole di Aria acqua fuoco nero, nonché Nero Silenzio, che introduce e ci ricollega in un qualche modo al titolo del libro d’artista che se ne sta nel cuore del labirinto allestito nella stanza successiva, e soprattutto all’atmosfera che tutta la pervade.
Maria Valli confessa di rileggere Punto, linea, superficie, il testo del grande pittore russo fondatore della pittura astratta, almeno una volta all’anno. Nelle creazioni dell’artista presentate nel salone del Palazzo dei Principi possiamo cogliere il fermento suscitato in lei dai principi fondamentali esposti da Kandinskij, e come essi abbiano germogliato nella sua interiorità – nello Spirituale dell’arte lui parla di una “visione interiore” indotta dall’esplorazione della propria sensibilità. Ripercorriamo, attraverso alcune annotazioni di Maria, alcuni elementi fondamentali di quella riflessione che lei ormai conosce a memoria: “il punto geometrico è il più alto e assolutamente l’unico legame tra silenzio e parola”, giacché nella scrittura esso “appartiene al linguaggio e significa silenzio”; la linea geometrica “è la traccia del punto in movimento, dunque un suo prodotto” e nello stesso tempo è “la massima antitesi dell’elemento pittorico originario, il punto”;la “superficie di fondo è la superficie materiale destinata ad accogliere il contenuto dell’opera”, e, in base alla caratterizzazione delle orizzontali e delle verticali, reca un “suono fondamentale”, che fa riferimento all’antitesi di “quiete fredda” e di “quiete calda”, ciascuna portatrice di un suo specifico “suono” e determinante “un’atmosfera più fredda o più calda”. In verità, le visioni di Maria Valli ci fanno immergere in situazioni nelle quali si respira una musica del silenzio e si alternano, anche in base a qualche bagliore di colore che qua e là può fugacemente apparire, atmosfere in cui sentiamo pulsare gelo e calore, l’immobilità di una quiete perenne o transitoria, o il fervore di una mutazione in divenire, la risonanza spirituale che le forme e i colori suscitano in lei. La riflessione sull’importanza della scrittura e dell’esperienza di piegare ad essa le forme della linea proseguono idealmente nella sala successiva, dentro il buio di un labirinto in cui si alternano i sentimenti generati da quello spazio peculiare: il perdersi e il ritrovarsi.
Nella sala che s’apre al termine del grande salone, infatti, il visitatore è chiamato a vivere un’esperienza esistenziale particolare, quella di un labirinto circolare, immerso nel buio, rischiarato fiocamente da una piccola pila fornita a colui che vi s’inoltri, che gli consente di vedere i dieci pannelli che si susseguono nel percorso e di ammirare, nel cuore del labirinto stesso, il libro d’artista creato da Maria Valli – un leporello, una sorta di sequenza ininterrotta ripiegata a formare le pagine che si mostrano a fisarmonica, una forma consueta nei libri per bambini e in alcuni libri d’artista. L’esperienza della solitudine in questo labirinto è arricchita da una musica, appositamente composta da Andrea Garimberti, e dalle parole sul senso profondo dell’arte interpretate da Cecilia Di Donato: musica e parole accompagnano i passi del visitatore che va procedendo nel percorso e che scruta con un occhio, reso via via più percettivo dalle condizioni di cecità ambientale in cui si trova, le visioni che si presentano davanti al suo sguardo indagatore, che riassapora e riconquista il valore, spesso perduto, dello stupore infantile.
La scelta del labirinto è manifestamente legata al significato che esso ha assunto nella storia umana: l’emblema del percorso esistenziale che ciascuno di noi deve affrontare nella vita. Ricordiamo la riflessione di Umberto Eco: “Se l’immagine del labirinto ha una storia millenaria, questo significa che per decine di migliaia di anni l’uomo è stato affascinato da qualcosa che in qualche modo gli parla della condizione umana o cosmica”; allo stesso Eco si deve la geniale intuizione secondo la quale sono la rete web, i social networks, i link, i labirinti moderni in cui siamo ogni giorno immersi, rischiando, mentre cerchiamo di districarvisi, di finire per perderci, nell’assoluta vacuità del flusso di parole e di immagini. La forma del labirinto ha del resto affascinato molti scrittori, da Jorge Luis Borges – tra l’altro, acuto sostenitore che il deserto è il labirinto più grande del mondo – a Friedrich Dürrenmatt, che nel suo romanzo breve Il Minotauro (1985) ci racconta la vicenda umanissima del mostro, metà uomo e metà animale, rinchiuso nella solitudine di un labirinto di specchi infiniti, che viene alla fine soppresso da Teseo e da Arianna. Con il labirinto creato al Palazzo dei Principi la Valli intende anche rendere omaggio a Maria Lai (1919-2013) – l’artista sarda celebre per i suoi segni-disegni, per i grovigli di fili e di corde, per i libri cuciti –, e sempre ricorda l’emozione provata visitandone la Stazione dell’Arte e il museo a Lanusei, dove peraltro la Valli scoprì definitivamente l’opera di Guido Strazza.
Il labirinto circolare creato nella sala dell’esposizione al Palazzo dei Principi è scandito da dieci pannelli sui quali se ne stanno altrettante grandi tecniche miste su carta, realizzate tra il 2019 e il 2020, che idealmente aspirano a essere una riflessione, nelle infinite forme assunte dal segno, sul colore nero, al quale Maria Valli ha dedicato una poesia scritta nel 2016:
“ombra erosiva / su un passo / che tenta oltre / e attraversa / il labirinto / nero silenzio / vuoto assoluto / tu / senza tempo”.
Nella tavola finale, la forma a chiocciola intende fare riferimento alla sezione aurea – pensiamo al De Divina Proportionedi Luca Pacioli. S’aggiunga che nelle interpretazioni, sedimentatesi nello scorrere dei secoli, legate al colore nero rintracciamo varie suggestioni che ci sono familiari: è, il nero, il colore delle tenebre, del lutto, ma anche dell’eleganza suprema, amatissimo da alcuni pittori simbolisti, come Odilon Redon; né possiamo dimenticare che è il colore evocato nel termine francese noir, con il quale ci si riferisce a una letteratura poliziesca intrisa di un senso perenne della sconfitta.
Le tavole che incontriamo nel percorso del labirinto evocano una sorta di cosmogonia ancestrale, nella quale ci sembra di cogliere il divenire della formazione di un universo, con il farsi e il disfarsi dei corpi celesti, colti nelle opposte tensioni del convergere e del divergere. Tutto è rappresentato attraverso l’imprescindibile alfabeto con cui da anni si esprime Maria Valli, quello del segno e della linea, qui arricchito da antiche lettere di una scrittura semitica fenicia del 1300 a.C.: segni di ardua decifrazione, senza il suono che siamo soliti associare alle lettere dell’alfabeto, sovente muti nell’incerta interpretazione del loro significato, ma portatori di un valore segnico e grafico che affonda le sue radici nei sistemi di scrittura, fondati sull’eterna esperienza del segno e della linea. Giunti nel cuore del labirinto, l’occhio incontra le dieci pagine, dispiegate a forma di leporello, del libro d’artista, in copia unica, Nero Silenzio, che Maria Valli ha pazientemente realizzato nel 2021, recante nella copertina il titolo della poesia da lei composta cinque anni prima. La sequenza ravvicinata delle pagine, che entrano anche visivamente l’una nell’altra, provoca una sorta di stordimento della visione, in un viaggio che mai s’interrompe negli infiniti spazi e nella terra incognita della propria interiorità.
Nel corridoio che dalla stanza del labirinto riconduce all’inizio della mostra, si dispiegano gli esiti del fervido lavoro di Maria Valli nel settore dell’opera grafica. Si tratta di una parte fondamentale della sua produzione artistica, niente affatto accessoria o meramente replicativa delle opere uniche – entrambi i campi di ricerca sono autonomi, legati anche alle specificità dei linguaggi che vi presiedono, anche se si può osservare una continua trasmigrazione, nei due sensi, di motivi e scoperte, con l’avanzare di una sorta di esplorazione di un’atmosfera, di una tensione spirituale. Vale la pena, sostando davanti a ciascuno di questi lavori, che recano date ricomprese tra il 2015 e il 2022, spesso di dimensioni più ridotte rispetto a molte delle opere esposte nelle due sale precedenti, soffermarsi sulle forme che l’artista ha ideato, a partire dai “palinsesti” che già abbiamo incontrato, sul dispiegarsi dei fasci di linee, ora esili ora marcati, nel loro procedere affiancati o nel loro incontrarsi e scontrarsi – dando in quest’ultimo caso vita a forme geometriche inscritte nel loro alveo –, e sull’irruzione dei colori – soprattutto l’azzurro e il rosso – che vengono ad affiancarsi e ad abitare il nero che ovunque sembra regnare. Occorre, dunque, leggere nelle didascalie le tecniche di incisione e i materiali sui quali l’artista ha saggiato e tracciato negli anni i propri segni e le proprie linee – da un lato, acquaforte, acquatinta, puntasecca, linoleografia, xilografia, collografia, utilizzando lastre di zinco, di alluminio, di plexiglas –, per infine approdare alla litografia su pietra. Mai casuale è stata, nei lavori grafici di Maria, la scelta della carta per la stampa, sempre valutata in ragione delle caratteristiche dell’opera che è destinata ad emergere nel processo di riproduzione della lastra, passando sotto il torchio. C’è stato, in questo cammino di scoperta e di acquisizione delle tecniche dell’opera grafica, un Virgilio che ha guidato, dal 2015, i suoi passi più recenti: Nicola Manfredi, docente all’Istituto Toschi di Parma e anima di un laboratorio-stamperia a Reggio Emilia, del quale il catalogo pubblica una testimonianza sul suo rapporto con l’artista. L’interesse per la grafica, in Maria, risale in verità a dieci anni prima, quando incontra a Carpi Lucia Tassi, che la introduce all’utilizzo della puntasecca su rame e zinco, e successivamente, sempre a Carpi, Anna Ferrarini, con la quale sperimenta l’utilizzo della tecnica di stampa Hayter (che per la Valli rappresenta la scoperta della “viscosità del colore”). È, quest’ultima, una delle tecniche più raffinate e innovative, coniata da Stanley William Hayter, artista inglese che fondò a Parigi l’Atelier 17 nel 1926, con un intermezzo di alcuni anni, nel 1940, a New York, per poi fare ritorno nella capitale francese, nel quale molti celebri artisti (tra cui Picasso, Mirò, Chagall, Pollock, Rothko, Motherwell, Matta, Hartung, e alcuni italiani) sperimentarono, acquisirono e arricchirono le potenzialità espressive della grafica. La memoria di Hartung, il grande pittore tedesco naturalizzato francese, riemerge in alcune opere di Maria Valli, nella tensione a un segno che sgorga nella spontaneità ma che sa anche piegarsi al controllo dell’occhio. L’esperienza della grafica è diventata, in Maria, lo strumento elettivo per cogliere e svelare i flussi di energia che animano il mondo, gli affioramenti e i sommovimenti che s’agitano nell’intimo, le infinite manifestazioni e i linguaggi del colore, così legati alle vibrazioni dell’anima.
Questa sorta di visita ideale alla mostra correggese di Maria Valli – che necessariamente deve essere arricchita dal rapporto diretto con l’opera – lascia intendere quali siano stati i frutti generati dalla coltivazione di una passione non sopita. Un’esperienza artistica, quella di Maria, all’insegna del desiderio di conoscere, di scoprire, di saggiare non solo riflessioni ed esiti di artisti che ha sentito affini, ma di affinare, nel tempo, le proprie capacità espressive, fondendo memoria, osservazione della natura – che continuamente riemergono nelle linee e nelle forme da lei tracciate –, ascolto dei trasalimenti interiori.
Robert Frost, il grandissimo poeta americano del Novecento di cui finalmente si torna in Italia a parlare – alla prima edizione di Einaudi, nel 1965, Conoscenza della notte e altre poesie, con la traduzione di Giovanni Giudici, fa ora seguito da Adelphi, in questo 2022, Fuoco e ghiaccio, per la traduzione di Silvia Bre – nella sua The road not taken(La strada non presa) del 1916, ci parla di due strade che divergono in un bosco. Il poeta prende “la meno battuta” e arriva a concludere amaramente che “di qui tutta la differenza è venuta”. La scelta di Maria Valli, in un qualche modo a lei imposta, è stata al contrario di percorrere quella che a molti poteva apparire la meno temeraria e difficile. Anni e anni dopo, con la tenacia che pare una caratteristica fondante dell’essere donna, lei ha deciso di ritornare sui propri passi e di imboccare, nella maturità, la strada che aveva sognato di seguire già nell’adolescenza, senza tuttavia poterlo fare. Sono certo che anche lei ora, vent’anni dopo la sua scelta di coraggio, potrà a sua volta finalmente dire: “di qui tutta la differenza è venuta”.
…dal catalogo ” Nero Silenzio ” 2022
Avventure della pietra – Aria Acqua Fuoco Nero – frammenti, di Maria Valli 2020
Nicola Arnoldo Manfredi
All’acme della pestilenza, il lavoro si interruppe. Tutte le idee, le scelte e le verifiche sui materiali, le prove tecniche, la scansione delle fasi di disegno e di stampa, i grafismi pulviscolari che Maria Valli aveva iniziato a preparare sulle matrici chiave del nero, variando in modi impercettibili le campiture e le sfumature, tutto questo si arrestò. Le preoccupazioni divennero altre, la concentrazione si disperse nel tempo che passava a vuoto. Soltanto una prima prova, foriera di aspettative di successo e di ottima riuscita dell’intero lavoro, rimase a ricordare l’impegno interrotto. I frammenti degli elementi primordiali – o visioni oniriche, o paesaggi della mente… gli artefatti, se suggestivi e potenti assumono molteplici significati per chi li osserva, pungolando pensieri e moti dell’anima – rimasero frammenti.
È possibile per un artista conservare intatta l’idea creativa durante un lungo periodo di impossibilità a realizzarla, in particolar modo quando si affrontano tecniche complesse di riproduzione grafica qual è la litografia, che necessita oltretutto di un ausilio tecnico, maieutico, per concretizzare nel numero di copie voluto il lavoro progettato? Maria Valli è riuscita nell’impresa: quando, a primavera inoltrata, il ritiro dai contatti umani ha iniziato a dare i suoi frutti o forse l’aria si è fatta più pulita, e il lavoro di stampa ha potuto riprendere con maggiore continuità, Valli ha disegnato le matrici mancanti con una abilità grafica che, sedimentata nell’inattività, è approdata sulla superficie delle pietre in sublimata finezza.
Lentamente – e sotto la protezione vigile di Père Cotelle che ci ha aiutato a sconfiggere tutte le avversità, superando pian piano problemi di carta, d’inchiostro, di registro, di rotture della pietra matrice, il lavoro si è infine dispiegato sui fogli Hahnemühle e di carta di riso della provincia di Anhui tale e quale lo ammirate e i frammenti si sono ricomposti come petali caduti in apparente disordine.
In realtà come l’artista li ha lungamente desiderati e creati.
Chiudi l’occhio fisico
Giglietti Ermanno
Il pittore, ha scritto Caspar David Friedrich nel 1815,
non deve dipingere solo quello che ha dinnanzi
a sé, ma anche quello che vede dentro di sé.
E se in sè stesso non vede nulla,
smetta di dipingere anche quello
che vede dinnanzi a sé.
ARIA ACQUA FUOCO NERO di Maria Valli non è solo il titolo di un’opera ma anche di un iter di un creativo. La Valli vede negli elementi della natura una sinfonia violentata dall’uomo e la dipinge come se la natura volesse tornare nel corpo in cui era nata, nella Genesi, in uno stato puro e primordiale.
ARIA ACQUA FUOCO NERO è quindi opera della natura che rigenera se stessa producendo nel contempo un atto creativo della coscienza; La Natura-Realtà diviene allora magma, liquidi, forme e colori in metamorfosi; metamorfosi dal buio alla luce.
E sulla tela il Nero del Caos e delle tenebre, non si oppone. Anzi, rilascia.
Sembra che abbia già dentro sé la luce, i colori, la grafite; tutti i segni, e li lascia liberi di uscire da un anfratto, da una fonte purificatrice.
Azzurro, rosso, grafite e stesure di nero, si muovono sulla carta in un silenzio quasi assoluto; è loro l’unico e impercettibile rumore che si sente mentre il foglio che respira li accoglie. Tutto scivola lentamente: il tempo, le pennellate, la coscienza; la natura si ricrea e l’artista la riproduce non più con l’occhio fisico, ma con quello dell’interiorità. Un desiderio ed una speranza.
Nel momento creativo Maria Valli si abbandona e si ritrova come una onda ed è questa la forza, il suono interiore della sua pittura. Pensiero che è non pensiero, ma pensa.
Per la Valli la ruvida carta che accarezza la mano, il pennino che raschia, il colore che feconda la carta sono materiali che si smaterializzano per diventare, in un lento e lunghissimo lavoro, momenti dell’anima.
Ed è proprio perché riesce a coniugare in maniera profonda realtà ed interiorità che Maria Valli, a suo dire, non smetterà mai di dipingere.
Suggestioni dalla realtà 2018
Nicola Arnoldo Manfredi
Confesso che non ho mai chiesto – né desidero farlo – spiegazioni sul significato delle sue opere. I titoli, pur essenziali, qualche indicazione la forniscono. E soprattutto gli esiti grafici e cromatici, avendo dal vivo apprezzato la cura, l’intuito compositivo, la gestualità controllata che l’artista ha posto nel raggiungerli.
Da autodidatta quale si dichiara, Maria Valli, che pure ha visto e conosce le espressioni dell’arte moderna e contemporanea, utilizza in modo molto personale sia figurazione informale che disegno, sia tecniche dell’unicità – acquerello, grafite, tempera all’uovo – che tecniche del multiplo a stampa. Soprattutto di queste posso testimoniare la vivacità, la ricchezza di soluzioni e l’utilizzo spesso sperimentale dei linguaggi tradizionali, acquatinta, puntasecca, litografia, xilografia. È proprio grazie all’ “imparar facendo” che, nel realizzare le sue matrici, Valli non soffre di timori reverenziali né remore rispetto all’ortodossia del linguaggio incisorio.
L’intento semplice è quello di ottenere un unicum espressivo tra pittura e grafica.
Per fronteggiare la marea di immagini inutili, soprattutto fotografie, e banali, che ci investe ormai senza tregua, cerco di adottare difese semplici per pervenire all’eventuale loro cancellazione dal mio panorama.
Si tratta di domande essenziali: mi piace? Mi suscita emozione? Mi racconta qualcosa? Quando la guardo ancora, l’effetto di piacere o stupore si ripete? Ecco, nel caso delle opere della Valli, la risposta conferma ogni volta il sì.
Dunque, i significati: scaturiscono dai bianchi per lo più prigionieri del nero, dai rossi cinabro che lo feriscono, dagli azzurri che possono illuminarlo e dai blu che lo incupiscono; sono drammi di segni che talvolta si concretizzano in silhouette umane o semplicemente suggeriscono storie di forme altre.
Le opere, singole o in serie, unite sotto unico titolo, siano pezzi unici o multipli a stampa spesso differenti da copia a copia, diventano allora riflessioni sulla realtà, suggestioni da essa tratte che la Valli ci affida e di cui, con l’attraente linguaggio della propria arte, vuole farci partecipi.
5+1 Maestri del contemporaneo, un avvincente percorso nella storia dell’arte – 2017
Luciano Carini.
Maria Valli (RE): atteso e gradito ritorno di Maria Valli nella nostra città e allo “Studio C” dopo le belle mostre qui tenute nel recente passato. E se di quest’artista avevamo negli occhi e nella memoria le eleganti e raffinate “tempere all’uovo” ispirate ai silenzi di “Petra” o le delicate e suggestive visioni interiori intrise di poesia e intimo raccoglimento, oggi l’artista emiliana ha ulteriormente arricchito il suo bagaglio artistico con l’approfondimento di svariate e diversificate tecniche di grafica con particolare riguardo per l’incisione. Ne sono fedele testimonianza le opere che Maria Valli presenta in questa rassegna: due tempere e due incisioni fortemente connesse al punto da essere l’una la chiara ed evidente derivazione dell’altra. Come sempre l’espressione di quest’artista appare intensa e partecipata e le sue opere hanno il magico potere di calare l’osservatore in dimensione lontane, oniriche ed irreali, nel regno profondo e imperscrutabile dell’interiorità. Raffinate le sue trasparenze, personale e liberatorio, quasi informale, il suo segno ammorbidito sempre da colori solari e pastose tonalità.Artista fortemente contemporanea Maria Valli e capace di spaziare, con assoluta padronanza tecnica, dalla pittura alla grafica fino alla scultura evidenziando sempre grande gusto compositivo, sentimento ed emozione.
Palinsesti 2016
Sebastiano Simonini
..è subito evidente come la stagione dell’informale con Maria Valli riesca a suggerire nuovi ed originali motivi di indagine. L’equilibrio, la spontaneità, il segno istintivo si intrecciano in una sigla personale immediatamente riconoscibile.
Maria Valli padroneggia con la stessa sicurezza il grande formato e le piccole incisioni, sempre curatissime nella tecnica e nella struttura formale.
La ricerca dei materiali non è mai fine a se stessa ma completa in modo difficilmente ripetibile composizioni che sono accurate in ogni loro parte, impaginazioni perfette che definiscono il segreto del gesto informale della Valli, nel quale la forza della spontaneità non viene mai tradita, mantenendo una visione d’insieme rigorosa e profonda.
I “palinsesti” presentati in questa personale sono flussi di coscienza liquidi capaci di attrarre l’osservatore in un indistinto profondo e intimo, racconti labirintici che si avventurano in un ambiente psichico indefinibile e forse indecifrabile.
Tema parallelo, ma di certo non secondario, riguarda la ricerca tecnica che Maria Valli sviluppa sui materiali impiegati, le carte, i pigmenti, la composizione dei colori, un racconto parallelo in grado di assicurare una visione d’insieme della poetica dell’artista, che anche in questo suo modo di procedere testimonia una cura estremante approfondita, ancora una volta a sottolineare come nulla debba essere lasciato al caso e come anche il gesto apparentemente più spontaneo venga qui ricondotto entro un processo mentale che è il progetto complessivo dell’opera.
DIZIONARIO DEGLI ARTISTI REGGIANI 2010
Emanuele Filini
“Pittrice, scultrice, opera nell’ambito dell’informale, alla ricerca di tonalità, velature, trasparenze ottenute con un uso sapiente del colore.
Nella scultura si rifà al grande insegnamento di giacometti, traendo da quelle esili figure una grande forza espressionista.
Ha potuto usufruire di preziosi insegnamenti del Maestro Mario pavesi (pag. 722)
LE LACRIME DEL MALE 2007
Mario Pavesi
Essere artista oggi rappresenta sicuramente un gesto di coraggio, una chance e una provocazione, che si complica ulteriormente nel rapporto con alcuni maestri incontestabili.
Gli scettici potrebbero affermare che tutto quanto vi era da dire é stato detto e che non restava più posto che per epigonismo o provocazione.
Questa idea diffusissima ma altrettanto falsa, ci pone di fronte a una realtà oggettiva che pur nelle continue metamorfosi della creatività, fa si che l’uomo tenti di esplorare e formulare nuove opzioni ideatiche e linguaggi inediti.
Maria, in questo senso, sceglie soluzioni proprie, organicamente strutturate intorno ad un ideale mistico, quindi ancestrali, quindi ricche di memoria, dove l’uomo rimane, con i suoi travagli, al centro del sistema: un desiderio di comunicare attraverso la metafora dove le figure antropomorfe diventano i simboli di una solitudine interiore in perenne conflitto con lo scorrere del tempo.
RICORDANDO PASOLINI
“Se torna il sole, se scende la sera,
se la notte ha un sapore di notti future,
se un pomeriggio di pioggia sembra tornare
da tempi troppo amati e mai avuti del tutto,
io non sono più felice,
né di goderne ne’ di soffrirne:
non sento più davanti a me tutta la vita….
per essere poeti, bisogna avere molto tempo:
ore e ore di solitudine sono il solo modo
perché’ si formi qualcosa,
che è forza, abbandono,
vizio, libertà, per dare stile al caos.
io tempo ormai ne ho poco: per colpa della morte
che viene avanti, al tramonto della gioventù,
ma per colpa anche di questo nostro mondo umano,
che ai poveri toglie il pane, ai poeti la pace.”
PETRA, ANATOMIE DI UN SILENZIO 2006
Fabio Bianchi
…nella personale “ Petra , anatomie di un silenzio”, la pittrice reggiana Maria Valli ci trasporta in una dimensione onirica ed irreale nel regno dell’ interiorità e del silenzio, oltre ogni costrizione umana.Antichissima città della Giordania, nell’isolata depressione di El Gohor ad ovest di Wadi Musa, intrigante e fiabesca, Petra e’ conosciuta soprattutto per superbe architetture, tombe e templi classicheggianti modellati nella roccia.Oggi, fra turismo di massa e magie fotografiche, Petra sta lentamente diventando una ben congegnata astrazione, un luogo mentale. E le tavole di M. Valli rafforzano questa sensazione di estraniamento, di totale rilassamento, anzi diventano quasi un’inconscia ripresa dell’arte concettuale degli anni 60, una poetica esaltazione del “gesto”, come istanza liberatoria, totalmente anti ideologica (EROSIONI PROFONDE) espressione di energia psichica (COMBUSTIONE) perfino un larvato recupero del segno ( SENZA TITOLO 2005) sempre però mantenuto su un piano assolutamente aniconico, attento solo al forte cromatismo di colori caldi, solari e terrosi, spesso vivacizzati dall’azzurro a volte intenso e profondissimo del cielo (i 7 pezzi della serie CIELI RITROVATI).
Siamo nella pura trascendenza (i sei pezzi della serie LUCI,SILENZIO),in un ideale collegamento anche con un interessante movimento italiano degli anni 50, l’Ultimo naturalismo(LE GRANDI ACQUE 1 e 2 nel tentativo di colmare il distacco tra coscienza e memoria (NUOVI ORIZZONTI) fra se’ e l’altro sé (SENZA TITOLO 2006)
Se nel titanismo romantico la consapevolezza del proprio limite bloccava la volontà di affermazione, in Valli tutto è assaporato e introiettato, assorbito ed il “sublime naturale “ diventa via via massa informe pulsante, però di vita e sentimento.
Nonostante l’evidente sperimentalismo i contorni evanescenti, le allusioni al reale,gli sfondi sfatti e stemperati ricordano BASALDELLA mentre le immagini completamente dissolte in colori oscuranti il disegno conferiscono una vis attrattiva alla DE KOONING.
Invece ritmo spezzato, atmosfera mistica e quasi ipnotica rimandano a FRANCIS.
Valli stupisce dunque per le robuste trasparenze ,per la capacità di oltrepassare ogni rigida formalizzazione linguistica superando di slancio land art, arte ambientale e arte etnica verso una poetica della solitudine e di un silenzio filosofico.
SULLE STRADE DELL’ASTRAZIONE 2005
Luciano Carini
…”Valli estremizza l’astrazione con tele al limite della riconoscibilità , colori acquosi e diluiti soggetti irriconoscibili , una superiore unita’ ed un silenzioso panteismo tra spazi immensi e tempi infiniti……” Fabio Bianchi “LIBERTA’ “ 27/09/05 Pc.
“Le opere di Maria Valli rivelano chiarezza di visione, sono eleganti e raffinate, pervase di sentimento e poesia.
La sua tecnica pittorica, basata su attente e approfondite ricerche estetiche, su delicate velature e sovrapposizioni, su tinte appena accennate e suggerite e graduati passaggi cromatici, dimostrano indubbie capacità e una ispirazione che vive e si alimenta attraverso i silenzi profondi e segreti dello spirito.
Pittura intensa, dunque, dove nulla é banale o provvisorio, ma dove al contrario tutto e’ seriamente pensato e meditato.
ABSTRACTUM 2 – 2004
Luciano Carini
….”Maria Valli, di origini emiliane, vive e lavora a Grosseto. Pittrice e scultrice, pratica un’espressione che rivela decisione, personalità e gusto estetico. In questa mostra piacentina presenta due piccole tempere all’uovo, su carta di straordinaria fattura, basate su colori tenui e pastellati: delicati azzurri e grigi sfumati che denotano delicatezza, eleganze e trasparenza, ad ulteriore riprova che non e’ affatto la dimensione ciò che rende importante un’opera d’arte. La sua ricerca si sviluppa anche nella scultura e riguarda vari materiali: legno, gesso, grafite, tufo. Artista che lavora con il cuore e sentimento e che raggiunge alti livelli di poesia.